Sanremo è il funerale ad un’Italia che non esiste più

Sanremo è il funerale ad un’Italia che non esiste più.

Per fortuna, verrebbe da aggiungere.

Un tempo Sanremo è stato l’Italia. E l’Italia è stata Sanremo. A lungo, le paiellettes e i fiori dell’Ariston hanno tratteggiato egregiamente i contorni della nostra italianità. Un’istantanea dello stivale fatta di colori vividi, sfumature e tanta musica destinata a restare. Luogo di consacrazione del talento, laboratorio di successi senza tempo. Non uno spettacolo memorabile, certo. Ma coerente. Conforme a ciò che siamo stati.

Oggi Sanremo è un rigurgito dell’Italia che fu. Un banalissimo rituale.

L’eterno ripetersi di un baraccone al quale resta aggrappata un’Italia che si è estinta. Una ciclica ripetizione del nulla, cartina al tornasole dell’Italia 3.0.

Vuota. Scarna. Approssimativa. Decrepitamente borghese.

Quella vivida polaroid del passato è del tutto scolorita. La musica in gara non scavalla i 5 anni e chi vende i dischi, suona su Spotify e fa ballare i ragazzini manco ci si accosta.

La storiella dei gruppi di visione e degli italiani incollati al primo canale nazionale non se la beve più nessuno. Dello sfArzo e dell’attesa che hanno contraddistinto la kermesse per oltre mezzo secolo resta lo sfOrzo di tv e giornali, ogni anno meno efficaci nello spremere i palinsesti per cavarci qualche goccia ancora di pubblicità.

Il Festivàl muore assieme alla televisione. Alle 2 ore in media che passiamo ancora ad osservarla, a criticarla sui social, a disprezzarla. Un terzo del tempo che dedichiamo invece al web, vera stella polare delle nuove generazioni.

Il Festivàl muore assieme all’incapacità di leggersi e correggersi. Sordo al vorace rotolare della comunicazione, Sanremo è passato senza manco rendersene conto da giudice a giudicato. Da aguzzino a vittima. Da modello a zimbello.

Gran parte di chi guarda oggi Sanremo lo fa per criticare.

E’ sui social, tweet dopo tweet, che prende vita il nuovo Ariston. Un esercizio di insulto in linea con il gusto e la sensibilità del Belpaese.

La folla inferocita dietro ai tablet brama il trash. La polemica, la gaffe.

E pazienza se così la musica, regina incontrastata del Festivàl alla maniera di Bongiorno, è relegata ai titoli di coda. Povera, banale, inconsistente. Spettatrice anch’essa dell’ennesimo reality strizza-ascolti.

Con noi, distratti spettatori/commentatori, inconsapevoli protagonisti.

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