Avevo circa 15 anni.
A scuola ci andavo col C64. Un catorcio rumoroso che faceva Piscinola-Museo e tornava indietro. Di quelli che arrivano quando gli pare a loro, saltano le corse e, stracolmi di extracomunitari soffocati dai borsoni, li accompagnano al centro storico per l’ennesima giornata consacrata alla sopravvivenza.
Di quelli, per intederci, che ogni volta che si fermano preghi ripartano per raggiungere la fermata successiva. E via così sino alla meta.
Ora, immaginate il mio C64 alle 7 del mattino. Rimpinzato di studenti e poveri disgraziati. Qualche tossicodipendente qua e là, un spruzzatina di vaiasse e il quadro della disperazione è completo.
Un melting-pot in salsa Napoli Nord. Ordinaria amministrazione di periferia. Di luoghi di esasperazione e di inciviltà. Di degrado e sofferenza. Dove un ragazzo di colore senza biglietto si becca un calcio nella schiena da un controllore perché il biglietto va pagato. E la multa non basta. Perché gli va chiarito che “quella non è casa sua” e che si, gli è consentito scendere alla prossima, ma non prima di sentirsi stampata l’impronta di un bel 45 sulla schiena.
Lì, all’ombra di quegli ingrassati maniglioni, mi sono beccato i primi schiaffi dell’indifferenza. Da quel momento in poi è stato tutto un battente susseguirsi di colli girati, occhi bassi e silenzi acquiescenti.
Ho scoperto che ci sono poveri e poveri. Ma quelli che soffrono davvero sono solo i disgraziati. Che oltre allo sguardo benevolo della sorte hanno perso anche quello compassionevole degli altri.
Esattamente lì, su quel bus, più di un decennio fa, ho appreso la cieca disumanità del nostro tempo.
Che alla vita umana ha scelto di anteporre proprio tutto. Anche la dignità.