Trap e malavita. La nuova Camorra si racconta con la musica

Napoli è yin e yang. Sole e buio. Vette ed interiora. E’ ventre, sguardi e contraddizione.

Napoli è O Sole Mio e Tony Colombo. E’ pizza e kebab. E’ Carosone, Pino Daniele e, oggi, anche Geolier. Le Scimmie, VMonster e Peppe Soks.

Sono la new generation della musica popolare. Le nuove leve della trap, il genere musicale che manda ai matti i ragazzini e fa scoppiare i contatori dello streaming.

Per intenderci, è il genere di Sfera Ebbasta e DPG. I nuovi fenomeni della musica italiana. Portatori sani della nuova ribellione giovanile, tutta lusso, droga e grandi firme.

Sono i nuovi valori della trap generation. Quella chic, posillipina e pariolese che coi testi della trap evade dalla noia della vita borghese. Ma, soprattutto, quella di frontiera. Del ventre di Napoli e delle sue periferie abbandonate. Secondigliano come Centocelle, Quarto Oggiaro. Colate di asfalto e rabbia sociale. Melting pot di culture, fame e malavita.

Laboratori urbani di lingue e neologismi. Gestualità e lifestyle che esplodono in rete sotto forma di canzoni e macinano milioni di visualizzazioni in pochi giorni. I trapper sdoganano il nuovo gergo giovanile, lo ribaltano sulla società e si candidano a trend setter: modelli cui aspirare. Nei modi, negli atteggiamenti e nel linguaggio ispirano migliaia di ragazzi creando con loro un legame che trascende il mero gusto musicale.

E’ la nuove voce popolare. Grido d’aiuto e di ostentazione. E’ la lingua dei baby camorristi. La colonna sonora delle stese e delle serate in discoteca dopo lo smercio del carico di droga. La trap sta lentamente spogliando il neomelodico dello scettro di genere musicale di riferimento negli ambienti della criminalità organizzata.

Così come la ferocia delle nuove paranze ha eroso il potere dei clan storici facendosi spazio nella malavita, allo stesso modo la trap si candida a soppiantare il neomelodico facendosi portatrice dei nuovi valori criminali.

Droga, lusso e riferimenti espliciti al “Sistema”. Parla anche di questo la trap all’ombra del Vesuvio. Di “giri co Mercedesz”, di “gent ro sistem” e grandi firme. Balenciaga, Saint-Laurent e Ferragamo. Elenchi infiniti di generi di lusso come specchietti per le allodole. Sono i classici meccanismi dell’ostentazione, luccichio dorato pronto ad instillare nella mente dei più piccoli il seme della vita criminale. Fatta di soldi, “roba” e qualche rischio. Ma “nuje nun c’amm maje mis paura” (non abbiamo mai avuto paura, ndr) perché “stamm semp che guagliun” (siamo sempre con i ragazzi, ndr).

E’ il nuovo canale di marketing criminale. Lo strumento attraverso il quale l’ecosistema criminale si racconta alle nuove leve, le seduce. Parla ai più giovani con il loro gergo, coi feticci e con gli oggetti attraverso i quali i giovani si sentono accettati, forti, sicuri. Un mondo che si racconta, costantemente imprigionato nelle sue contraddizioni. Nei suoi simboli. Nei suoi accenti.

Prima la religione. Poi il cinema e la musica. Il lusso e ora la trap. Ancora una volta le mafie dimostrano di sapersi adattare come nessun altro alla liquidità della comunicazione. Alle sue rapide trasformazioni. Per sedurre, ammaliare e sopravvivere. Un virus che muta assieme all’organismo che vuole incancrenire, alterandone i linguaggi. Imputridendo il mondo che verrà.

Yin e Yang. Bene e male. Bianco e nero. Vecchi clan e nuove paranze. Neomelodici e trapper. C’è spazio per tante storie all’ombra del Vesuvio. Trap e malavita è una di queste.

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