Boca-River non sarà mai una partita come tutte le altre

E’ il giorno di Boca-River.

La voce potente di Carlos Gardel si infila confusa nel gracchiare di un grammofono tra le crepe di un vecchio infisso colorato de “La Boca”. Un niño stropiccia gli avanzi di asado nella carta stagnola e li ficca speranzoso nella borsa assieme alla sciarpa gialloblu.

“Nel vicolo più malfamato una canzone fa la sua preghiera di coraggio e di passione”.

E’ la notte degli “xeneizes”, i “genovesi”. Padri della seconda identità più forte nella testa e nel cuore di un argentino: quella del Boca. Eredità dei liguri che, nel 1905, misero in piedi quasi per gioco il club più amato sulle rive del Rio del la Plata.

Al tempio, “La Bombonera”, arrivano i “Millionarios” (i milionari, ndr). Quattro anni più vecchi, anche loro figli de “La Boca” ma molto più ricchi. Più apolidi, più fluidi. Il River Plate ha lasciato “La Boca” con quelli che ce l’hanno fatta. Più a nord, sui parquet lucidi dei tango borghesi di Buenos Aires. Niente a che vedere col biondo spelacchiato delle sale dove i tacchi dei tangueros grattano il legno esausto. Quello matto, mai rigenerato.

Le crepe dell’elegante capitale vibrano di attesa. A queste latitudini il calcio è altro. Straborda di ancestrali aspirazioni. Riscatti, invidie e culture. E’ la resa dei conti.

Boca-River è un eterno, viscerale rituale. Da un lato i figgieu, los ninos, gli scugnizzi dei barrios più malfamati. Dall’altro, i “millionarios”. Borghesi, colti, europei. Non è calcio, ma neanche un banale confrontarsi fra classi.

Boca-River sono due modi diversi di essere argentini. Indios, borghesi, genovesi, britannici, napoletani. Nelle vene dei portenos scorre “sangue bastardo”. Di migliaia di culture capaci di ritrovarsi tutte assieme, di mischiarsi sotto il caldo sole di uno dei luoghi più dolci ed accoglienti del pianeta.

Tra le calles di Buenos Aires la provenienza conta poco e l’accoglienza gioca a carte con la miseria. Qui crescono e si colorano di meravigliose sfumature le mille anime degli argentini. A forgiarle, la dura o dolce vita del barrio, quello dove i niños diventano uomini e gli schiaffi della vita costruiscono le rispettive identità. Nulla è semplice dietro le brillanti tinte delle vecchie case de La Boca, tanto pittoresche fuori quanto decrepite alle spalle.

Luogo di anime e contraddizioni. Lì il calcio non è un semplice pallone che rotola tra i piedi. E’ pelle, codice genetico, generalità. Il tuo quartiere, il barrio, tratteggia a forti pennellate il quadro della tua esistenza. Ne definisce i limiti, ne affievolisce il potenziale. Gli devi tutto. Nel bene come nel male.

E’ dentro quelle difficoltà che nasce il Clasico de Argentina. Agognato e ricorrente epilogo di un lunga fiaba destinata a rinnovarsi in eterno.

In palio c’è molto di più che il primato di squadra cittadina. Ma il violento desiderio di far prevalere la propria sfumatura albiceleste, il proprio modo di essere argentino.

No, non è solo calcio. E’ Boca-River.

Una risposta a “Boca-River non sarà mai una partita come tutte le altre”

  1. Come Napoli -Juventus!!!!!

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